LA
BEATIFICACIÓN
ARTÍCULOS APARECIDOS EN PRENSA SOBRE LA BEATIFICACIÓN DE LA MADRE TERESA
La
grande avventura di Madre Teresa di Calcutta
di Giampaolo Mattei
"Le mani degli uomini sono buone per servire" sussurra prima dell'ultima
parola di saluto: "Pregate per me, io pregherò per voi".
Era il 20 maggio scorso quando Madre Teresa di Calcutta, a Roma per andare
in udienza dal Papa, concesse a "L'Osservatore Romano" un'intervista
che nessuno pensava fosse l’ultima. Al termine dell'incontro salutò
come aveva sempre fatto, unendo le mani nel segno della preghiera e portandole
alla fronte, facendo un leggero cenno col capo.
Madre Teresa ti guardava negli occhi e ti stringeva la mano come se ti conoscesse
da sempre, come se al mondo ci fossi soltanto tu. Non aveva bisogno di presentazioni,
non voleva sapere perché le andavi incontro. Però avvertivi
immediatamente la sensazione di poter avere con lei la confidenza fiduciosa
in una madre che comprende tutto, che comprende sempre. Madre Teresa vedeva
in te una persona da amare. C'è in un passo del Vangelo, quello del
"giovane ricco", in una frase che non sempre si medita abbastanza:
"Gesù, guardatolo, lo amò". Ecco, Madre Teresa te
la spiegava con i fatti quella frase: ti guardava e ti amava. Con l’umiltà,
la semplicità di un sorriso, tra un "sari" bianco orlato
d'azzurro ed una croce - la Croce - quell'esile suora albanese ha costretto
il mondo intero a credere ancora all'amore. "Cerco solo di amare, di
fare qualcosa di bello per Dio" ha detto, una volta, per raccontare la
sua vita.
"Amore", "love", è sicuramente la parola che Madre
Teresa di Calcutta, fondatrice della Congregazione delle Missionarie della
Carità, ha consumato di più. Prima di pronunciarla, però,
l’ha vissuta fino in fondo, senza compromessi.
Ecco quello che di lei rimane veramente nel cuore degli uomini: sì,
l’assegnazione del Premio Nobel per la pace nel 1979, i mille riconoscimenti
internazionali, il lungo applauso con cui è stata accolta all'Assemblea
generale delle Nazioni Unite, la stima di Paolo VI e di Giovanni Paolo II
che è andato a trovarla a Calcutta nel 1986; che nel 1988 le ha donato
una Casa in Vaticano per aiutare i poveri; che
l'ha voluta accanto a sé nel viaggio apostolico in Albania nel 1993.
Sì, nel cuore e negli occhi degli uomini ci sono indubbiamente tutte
queste immagini, ma resta innanzitutto la figura umile, ma di una forza straordinaria,
della "suora che sorride sempre", come la definì un bambino
abbandonato di Calcutta, ospitato dalle Missionarie della Carità.
Nel cuore degli uomini resta il suo sorriso autentico, anche nei momenti più
drammatici. "Davanti ad una persona che soffre non puoi presentarti con
la faccia triste: ricordati che vai a trovare Gesù" è la
"regola" suggerita ad una novizia che per la prima volta entrava
nel "Nirmal Hriday", la casa "del cuore puro" per i moribondi
di Calcutta aperta in un tempio della dea Kali.
Il sorriso di Madre Teresa è stato lo specchio dell'amore di Dio. Un
sorriso che nasceva da una fede profonda, testimoniata giorno per giorno.
Nel mondo tutti oggi conoscono il suo nome, la sua opera. Soprattutto i più
poveri tra i poveri, gli emarginati, i profughi, gli handicappati, gli affamati,
i malati, i disperati, i bambini. Per le strade della "sua" Calcutta,
e poi per le strade del mondo, quel "sari" bianco e azzurro - scelto
come abito della sua Congregazione - è il segno visibile della carità.
Oggi che Madre Teresa è morta, i poveri del mondo non saranno affatto
più soli: in cielo c'è un'anima in più che prega per
loro.
Su di lei sono stati scritti montagne di libri che lei non ha mai letto. Molti
l’hanno descritta come una benefattrice dell'umanità, ma è
un'affermazione che andrebbe corretta: non per l’umanità, infatti,
Madre Teresa ha dato la sua vita, ma per amore di Dio.
"Perché?" le hanno chiesto giornalisti e gente comune. "Perché
la scelta di vivere nella povertà assoluta, accanto a lebbrosi e "rifiuti
umani"?". Una scelta incomprensibile per il mondo. "Per amore
di Dio" è sempre stata la sua, "scontata", risposta.
"Siamo una Congregazione contemplativa: in chi soffre contempliamo Gesù"
ha sempre spiegato ai suoi interlocutori aggiungendo che non lo avrebbe mai
fatto come "mestiere", "neanche per tutto l’oro del mondo".
Quello che sorprende di più coloro che provano a conoscerla meglio
è la vita di preghiera della religiosa: non si può capire la
sua opera senza la preghiera. Nell'ultima intervista ci accorgemmo che mentre
parlava volgeva di continuo lo sguardo verso la povera cappella della casa
romana della sua Congregazione in via Casilina. "Non siamo assistenti
sociali né infermiere - disse -. Noi curiamo i poveri perché
in loro c'è Gesù Cristo. La Messa, l’Eucaristia, è
il primo cibo del nostro sostentamento. Ecco perché il cuore delle
nostre case è la cappella. Le prime donazioni che arrivano devono essere
destinate a fare una decorosa chiesa. Il nostro non è amore per il
lavoro, ma amore per l’uomo in cui vediamo Cristo". Ecco il segreto
di questa Congregazione: l'Eucaristia. È la loro forza, è ciò
che spiega il loro umile, silenzioso e quotidiano eroismo. Se si esclude l'Eucaristia
non si possono comprendere Madre Teresa e le sue suore.
La porta del "Nirmal Hriday" è come se non esistesse. Chiunque
vi può entrare. Madre Teresa e le sue consorelle hanno curato e accolto
in questi anni un numero incalcolabile di moribondi. Ed ecco un altro segreto
di Madre Teresa: l’amore, che viene da Dio, per ogni uomo, senza distinzioni.
"Forse - diceva - quello che noi facciamo è più o meno
una semplice goccia d'acqua nell'oceano. Ma se non lo facessimo, all'oceano
mancherebbe la nostra goccia d'acqua". La sua testimonianza d'amore è
stata recepita ovunque, nei Paesi più poveri e nell'Occidente ricco.
"La povertà dell'Occidente - secondo Madre Teresa - è una
povertà spirituale, di gente che non crede in Dio e non prega, che
non è soddisfatta di ciò che ha, non sa soffrire, gente che
si abbandona alla disperazione". I poveri di Calcutta non sono diversi
da quelli di Roma o di New York.
Le parole della madre: "Non lasciare la mano di Dio..."
"Stringi la mano di Dio e non lasciarla mai nel tuo cammino...".
Ecco l’unico consiglio che mamma Drana diede a Ganxhe all’indomani
della sua decisione di prendere i voti religiosi. Terza figlia di Nikolle
Bojaxhiu e, appunto, di Drana, nacque a Skopje, in Albania, il 27 agosto 1910.
Ricevette il Battesimo il giorno dopo e con esso il nome di Ganxhe (Agnese)
che in albanese significa "bocciolo". Aveva una sorella maggiore,
Age, ed un fratello minore, Lazzaro. Quando Ganxhe viveva a Skopje, il sessanta
per cento della popolazione era cristiana (cattolici ed ortodossi); il trentacinque
per cento era musulmana e c'era anche un'esigua minoranza ebrea. Educata in
un famiglia profondamente cristiana, frequentò la parrocchia di Cristo
Re dove faceva parte di un gruppo di preghiera e di aiuto alle missioni. Iniziò
a maturare la vocazione di diventare missionaria a dodici anni, ascoltando
l’esperienza di alcuni sacerdoti. Certamente la vocazione a servire
i poveri perché in loro c'è Gesù Cristo ha segnato fin
dall'infanzia la sua vita. "Figlia mia, non accettare di portare il pane
alla bocca senza essere disposta a condividerlo con gli altri" è
una frase che Madre Teresa ha ripetuto spesso ricordando le parole della madre.
Per tracciare l’itinerario della sua vocazione bisogna affidarsi alle
sue parole: "Fu ai piedi della Madonna di Letnice, un Santuario vicino
a Skopje, che ascoltai la chiamata divina che doveva convincermi a servire
Dio, consacrandomi interamente al suo servizio. Lo ricordo bene: accadde la
sera del giorno dell'Assunta. Stavo pregando e cantando, ricolma di gioia
interiore. Là quel giorno decisi di consacrarmi interamente a Dio nella
vita religiosa. Fu là che ascoltai la voce di Dio che mi invitava ad
essere tutta sua, consacrandomi a Lui e al servizio del prossimo".
Dalle sue parole si comprende il grande amore per mamma Drana. Madre Teresa
la vide per l’ultima volta il 26 settembre 1928. Le autorità
non ascoltarono mai la sua richiesta di poter riabbracciare la madre e l’amata
sorella maggiore Age. La barriera innalzata da uno dei più sanguinosi
ed ottusi regimi comunisti non venne abbattuta in tempo per consentire a Madre
Teresa di riabbracciare i suoi cari: Mamma Drana morì nel 1972, la
sorella due anni dopo.
"Desideravo tanto essere missionaria, volevo partire e portare Cristo
alla gente che non lo conosceva - ha ricordato, in un'occasione, Madre Teresa
-. In quel periodo alcuni missionari gesuiti erano partiti dalla Jugoslavia
per l’India. Mi dissero che le Suore di Loreto lavoravano a Calcutta
e in altri posti dell'India".
Ganxhe aveva 18 anni e con una sua amica, Betika Kanjc, prese il coraggio
a due mani e intraprese, da Zagabria, il 26 settembre 1928, un viaggio in
treno attraverso mezza Europa: Austria, Svizzera, Francia, Inghilterra con
destinazione Dublino. Tremila chilometri. Vicino Dublino, a Rathfarnham, allora
c'era la Casa generalizia (ora è a Roma) dell'Istituto della Beata
Vergine Maria, fondato nel secolo XVI da Mary Ward, comunemente conosciuto
come Istituto delle Suore di Nostra Signora di Loreto.
Dall'Irlanda a Darjeeling, ai piedi dell’Himalaya, dove per 28 mesi
fece il noviziato. Da Skopje, attraverso l’Europa in Irlanda e dall'Irlanda
in India: ecco il desiderio di seguire ovunque Gesù. Al termine del
noviziato, il 24 maggio 1931, la professione e la scelta del nuovo nome -
Teresa - in onore di Santa Teresa di Lisieux appena canonizzata (1925) e proclamata
"celeste patrona delle missioni". Teresina, morta a 24 anni, aveva
desiderato essere missionaria in Indocina, lo voleva con tutto il suo amore.
Ecco perché Ganxhe scelse proprio il nome Teresa. A Parigi, domenica
24 agosto, Giovanni Paolo II ha annunciato che il 19 ottobre prossimo proclamerà
santa Teresa Dottore della Chiesa.
La professione perpetua di Madre Teresa avvenne il 24 maggio 1937 durante
la Santa Messa celebrata dall'allora Arcivescovo di Calcutta, Mons. Perier.
Calcutta fu la sua prima destinazione: insegnante di geografia e storia, poi
direttrice del collegio femminile "St Mary's" dove studiavano le
ragazze delle famiglie più ricche. Erano anni decisivi per l’India,
"gli anni di Gandhi" che portarono all'indipendenza.
Con il passare del tempo Teresa entrò sempre più nei problemi
dell'India. Così imparò la complessa lingua bengalese, tanto
che le sue alunne cominciarono a chiamarla suor Teresa "Bengalì".
Una chiamata nella chiamata
"Accadde il 10 settembre 1946 - ha raccontato - nel viaggio in treno
che mi portava a Darjeeling per fare gli esercizi spirituali. Mentre nel mio
intimo pregavo, avvertii con chiarezza una "chiamata nella chiamata".
Il messaggio era molto chiaro: dovevo lasciare il convento di Loreto per darmi
al servizio dei poveri, vivendo in mezzo a loro. Era un comando. Ho avuto
una percezione chiarissima sull'origine della chiamata". Un viaggio in
treno nel cuore dell'India, faccia a faccia con la terribile realtà
della povertà. Una "chiamata nella chiamata", una "vocazione
nella vocazione", che non annulla, non contrasta assolutamente con la
precedente, anzi la completa. È il 16 agosto 1948 quando Teresa lascia
il convento di Loreto con poche rupie in tasca e si dirige subito nei sobborghi
più poveri della città.
Un sacerdote le chiese un'offerta per la stampa cattolica. Lei era uscita
dal convento con 5 rupie e 4 le aveva già date ai poveri. Dopo un attimo
di esitazione diede al sacerdote l’unico soldo che le restava. Lo stesso
pomeriggio quel sacerdote andò a trovare Teresa portandole una busta
con 50 rupie, dono del primo, anonimo, benefattore. "In quel momento
- ebbe a ricordare la religiosa - ebbi la viva sensazione che Dio aveva cominciato
a benedire l’opera e che non mi avrebbe mai abbandonato".
Eccola, dunque, sola nella grande India dove non sarebbero mancate opposizioni
ad una donna, una piccola suora cattolica albanese, senza soldi, che aveva
deciso di aiutare i più poveri. E a Calcutta di poveri ce ne sono milioni.
Che cosa fare? Da dove cominciare? Sarebbe stato inutile fare piani o conti:
l’unica cosa era arrivare direttamente alle persone. "Ciò
che conta non è la quantità delle opere che si portano a termine,
ma la quantità di amore che ognuno pone nell'operare".
Da quel giorno la storia è nota. Il suo apostolato ha toccato il cuore
del mondo intero. Il 21 aprile 1948 ottiene il permesso di aprire la prima
scuola nei quartieri poveri e il 19 marzo 1949 arriva la prima suora, Subashini
Das, una ex alunna della scuola di Loreto. "Madre, sono venuta per restare
con lei" disse. "Sarà una vita dura, pensaci bene, prega
prima di deciderti" rispose Madre Teresa. La ragazza scelse di chiamarsi
Agnese, fu la prima Missionaria della Carità.
È il 7 ottobre 1950 quando la nuova Congregazione viene approvata e
comincia dunque a diffondersi. In aggiunta al tre voti di povertà,
di castità e di obbedienza, la nuova comunità ne fa un quarto
di "dedito e gratuito servizio ai più poveri". Teresa non
è affatto sorpresa che tante ragazze scelgano di vivere tra i più
poveri: lì, infatti, incontrano Cristo. Il 25 marzo 1963 l’Arcivescovo
di Calcutta benedice i Fratelli Missionari della Carità mentre il 1°
febbraio 1965 le Missionarie diventano Congregazione di diritto pontificio.
Ormai tutti conoscono l’opera caritativa di Madre Teresa e delle sue
suore. Vengono aperte case ovunque. Nei luoghi più "difficili"
incontri queste suorine vestite con il "sari": in pochi sanno che
da otto anni sono anche in Siberia oltre che in Cina, a Cuba, in Viet Nam
ed in Iraq. Con la forza della provvidenza queste suore sono riuscite a compiere
incredibili imprese per aiutare i più poveri. Niente le spaventa perché,
appunto, è nella Provvidenza che centrano la loro vita. È il
1964 e a Calcutta si reca Papa Paolo VI per celebrare il Congresso Eucaristico
Internazionale. Lascia in dono a Madre Teresa una bellissima macchina. Lei
la vende e con il ricavato dà il via alla costruzione di una "città"
per ospitare i lebbrosi: la strada più grande di quella singolare città
la intitola a Papa Montini. Lo stesso Papa, nel 1973, le consegnò il
"Premio Giovanni XXIII". Ventidue anni dopo, anche Giovanni Paolo
II si recò in visita a Calcutta, il 3 febbraio 1986. In quella occasione
il Papa andò, come detto, per prima cosa, nella "casa di Madre
Teresa", il "Nirmal Hriday".
Con Madre Teresa, il Santo Padre strinse la mano ad ogni persona ospitata
lì dentro: tutti moribondi, ma la protagonista non era la morte, piuttosto
la dignità. "È un luogo di speranza, una casa piena d'amore"
disse il Papa sottolineando che in quel luogo, uno tra i più impressionanti
della terra, il mistero della sofferenza umana incontra il mistero della fede
e dell'amore.
Il 17 ottobre 1979 ad Oslo le viene consegnato il Premio Nobel per la Pace.
Con la semplice fermezza di sempre, davanti al mondo lei dedica il riconoscimento
ai poveri e denuncia l'orrore dell’aborto. Lo stesso fa alle Conferenze
delle Nazioni Unite del Cairo (1994) e di Pechino (1995).
Le Missionarie della Carità sono quasi 4.500 e sono oggi presenti in
120 Paesi e hanno istituzioni dove curano gli indigenti, i moribondi, coloro
che tutti, persino gli ospedali, rifiutano. Nonostante i seri problemi di
salute, soprattutto al cuore, Madre Teresa non aveva mai smesso di svolgere
la sua missione a servizio dei poveri. A stento i medici la trattenevano in
ospedale per le terapie, lei infatti ripeteva che il suo posto era in mezzo
al suoi poveri. Soprattutto a partire dal 1983 aveva sofferto e nel 1993 aveva
anche contratto la malaria. Certo non era il dolore, con cui aveva scelto
di andare a braccetto per tutta la vita, a spaventarla. Anzi, l’esperienza
del dolore era per lei una ricchezza immensa. Ricordiamo con commozione la
preghiera che compose nel 1992 per Giovanni Paolo II che stava facendo la
stessa esperienza di dolore. E ricordiamo anche l’affettuoso abbraccio
con il Papa, il 29 giugno scorso, al termine della Santa Messa per i santi
Pietro e Paolo nella Basilica Vaticana. Quello è stato il loro ultimo
incontro.
Dal 13 marzo scorso la nuova Superiora Generale, succeduta a Madre Teresa,
è suor Nirmala, nata nel 1934 anni fa in India in una famiglia indù.
"Mi è stata affidata una responsabilità immensa e se penso
a me stessa ho paura ma se guardo a Dio e mi affido alla preghiera penso che
potrò continuare l’opera avviata dalla nostra fondatrice"
ci confidò suor Nirmala il 20 maggio, quando incontrammo Madre Teresa
a Roma. "Progetti?" le chiedemmo ingenuamente. "Ci sono tanti
poveri" ci rispose. È la stessa frase che avrebbe detto Madre
Teresa.
Due interventi di Madre Teresa
"...Date quel bimbo a me"
Madre Teresa ha portato ovunque, con semplicità ma con straordinaria
fermezza, la sua testimonianza in difesa della vita umana sin dal concepimento.
Pubblichiamo di seguito alcuni brani dei messaggi da lei indirizzati alla
Conferenza delle Nazioni Unite su popolazione e sviluppo, svoltasi al Cairo
nel 1994, e a quella sulla donna, a Pechino nel 1995
"La vita è il più grande dono di Dio. È per questo
che è penoso vedere cosa accade oggi in tante parti del mondo: la vita
viene deliberatamente distrutta dalla guerra, dalla violenza, dall'aborto.
E noi siamo stati creati da Dio per cose più grandi: amare ed essere
amati.
Il più grande distruttore della pace nel mondo è l’aborto.
Se una madre può uccidere suo figlio, che cosa potrà fermare
te e me dall'ucciderci reciprocamente? Il solo che ha il diritto di toglierci
la vita è Colui che l’ha creata. Nessun altro ha quel diritto:
né la madre, né il padre, né il dottore, né un'agenzia,
né una conferenza, né un governo.
Se vi è un bambino che non desiderate o non potete curare o educare,
date quel bimbo a me. Non voglio rifiutare nessun bambino. Gli offrirò
una casa, o gli troverò genitori amorosi. Stiamo combattendo l’aborto
con l’adozione ed abbiamo già affidato migliaia di bambini ad
affettuose famiglie.
Il bambino è il più straordinario dono di Dio a una famiglia,
a una nazione. Non rifiutiamo mai questo dono di Dio. La mia preghiera per
ciascuno di voi è che voi possiate sempre avere la fede di vedere e
amare Dio in ciascuna persona, inclusa quella non ancora nata".
(Il Cairo, 8 settembre
1994)
"Spero che questa Conferenza aiuterà tutti e ciascuno a comprendere
il posto specialissimo che la donna occupa nel piano di Dio e che ci condurrà
ad aderire pienamente a questo piano e a metterlo in atto.
Non arrivo a comprendere perché certuni affermano che l’uomo
e la donna sono esattamente uguali e negano le belle differenze che esistono
tra l’uomo e la donna.
Dio ha creato ciascuno di noi, ciascun essere umano, in vista di una cosa
più grande: amare ed essere amati. Perché Dio ci ha creato alcuni
uomini e altre donne?
Perché l’amore di una donna è uno degli aspetti dell'amore
di Dio. L'amore di un uomo è un altro aspetto di questo stesso amore.
L'uomo e la donna si completano l’uno con l’altra, e tutti e due
insieme manifestano l’amore di Dio meglio di quanto lo potrebbero fare
separatamente.
La maternità è il dono di Dio alle donne. Noi possiamo distruggere
questo dono della maternità, specialmente con il male dell’aborto.
Ma anche pensando che ci sono cose più importanti che amare, che donarsi
al servizio degli altri: la carriera, ad esempio, il lavoro fuori casa. Ma
nessun lavoro, nessun piano di carriera, nessun possedimento materiale, nessuna
visione di libertà può sostituire l’amore. Tutto ciò
che distrugge il dono della maternità, che è un dono di Dio,
distrugge il più prezioso dei doni fatti da Dio alla donna: quello
di amare in quanto donna.
Sappiamo che l’ambiente dove il bambino può meglio apprendere
ad amare e a pregare è la famiglia, essendo il testimone dell'amore
e della preghiera di suo padre e di sua madre. Quando nella famiglia c'è
rottura o disunione, i bambini in gran numero crescono senza sapere come amare
e come pregare...
D'altra parte, quando le famiglie sono forti e unite, i bambini vedono nell'amore
del padre e della madre l’amore specialissimo di Dio per loro. Una famiglia
che prega insieme resta insieme, e se essi restano insieme, essi si ameranno
gli uni gli altri come Dio li ha amati, tutti e ciascuno di loro. E le opere
dell'amore sono sempre opere di pace"